MONSIEUR DUDRON
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La révélation au Musée du Louvre
C’était un doux après-midi d’octobre et Monsieur Dudron, bien enfoncé dans un fauteuil pliant, faisait la sieste dans son atelier. Comme cela lui arrivait souvent quand il ne travaillait pas, ses pensées allaient vers la peinture. « Les peintres, se disait-il, aujourd’hui et même depuis quelque temps déjà, ne font plus de peinture; ils ne peignent pas; ils mettent des couleurs à sécher sur la toile. Or, une belle peinture n’est jamais de la couleur sèche mais de la matière teinte. Voilà ce que me dit un jour Isabella Far, dans un musée devant un tableau de Vélasquez. Isabella Far voit la peinture comme peu de gens la voient aujourd’hui. Son esprit philosophique et son intuition exceptionnelle lui permettent d’approfondir, dans le compliqué problème de la peinture, des choses oubliées depuis presque un siècle.
La rivelazione nel Museo del Louvre
Era un dolce pomeriggio d’ottobre e il Signor Dudron, ben affondato in una poltrona pieghevole, faceva la siesta nel suo studio. Come gli accadeva spesso quando non lavorava, i suoi pensieri andavano alla pittura. «I pittori – si diceva – oggi e già da qualche tempo, non fanno più della pittura; non dipingono, ma mettono dei colori a seccare sulla tela. Ora, una bella pittura, non è mai del colore secco ma della bella materia colorata. Ecco ciò che mi disse un giorno in un museo Isabella Far, dinanzi a un quadro di Velasquez [1]. Isabella Far vede la pittura come poca gente oggi la vede. Il suo spirito filosofico e la sua eccezionale intuizione le permettono di approfondire, nel complicato problema della pittura, delle cose dimenticate da quasi un secolo.
Capisco benissimo che non si capisca.
Varianti
Nei testi sinottici, rispetto alla versione francese, quella italiana presenta una frase in più: “Capisco benissimo che non si capisca”.
Tutto il primo episodio del Signor Dudron (qui fino a pag. 4, paragrafo La gita: la festa in piazza) è costituito da successive elaborazioni di un racconto autobiografico intitolato Una gita a Lecco pubblicato in facsimile manoscritto nella rivista “Aria d’Italia” nella primavera del 1940. In questo racconto manca il personaggio di Isabella Far, il testo è più breve, le considerazioni sulla pittura sono attribuite all’autore e alcune si trovano in una successione diversa:
Il 17 aprile aprile dell’anno 1939 – XVII -, verso le ore quattordici stavo nella poltrona a straio del mio studio milanese, fumando la pipa e meditando. Come quasi sempre meditavo sui problemi complicati della tecnica pittorica, […] (per il seguito vedi varianti al paragrafo seguente: Il paradiso perduto)
Un’altra versione dell’incipit si trova nel libretto Une Aventure de M. Dudron, pubblicato nel 1945:
Le 17 avril 1939, vers deux heures de l’après-midi, M. Dudron, bien enfoncé dans un fauteuil pliant, faisait la sieste dans son atelier-bureau. Comme cela lui arrivait souvent quand il ne travaillait pas, ses pensées allaient vers la peinture. “Les peintres, se disait-il, aujourd’hui et même depuis quelque temps déjà, ne font plus de peinture; ils ne peignent pas; ils mettent des couleurs à sécher sur la toile. Or, une belle peinture n’est jamais de la couleur sèche mais de la belle matière teinte. Je comprends très bien qu’on ne comprenne pas.
Il passo francese del 1945 fu nuovamente elaborato da de Chirico nella sua Copia Personale (1953 c.) con l’aggiunta di qualche nota scritta direttamente sul testo stampato e su un piccolo foglietto incollato:
[Aggiunto: C’etait un doux-après-midi d’octobre] et M. Dudron, bien enfoncé dans un fauteuil pliant, faisait la sieste dans son atelier-bureau– Comme cela lui arrivait souvent quand il ne travaillait pas, ses pensées allaient vers la peinture. “Les peintres, se disait-il, aujourd’hui et même depuis quelque temps déjà, ne font plus de peinture; ils ne peignent pas; ils mettent des couleurs à sécher sur la toile. Or, une belle peinture n’est jamais de la couleur sèche mais de la belle matière teinte. [Aggiunto: Voilà ce que me dit un jour Isabella Far, devant un tableau de Velasquez, au Louvre. Isabella Far, comprend [aggiunto: voit] la peinture ainsi que [aggiunto: comme] peu de gens la comprennent [aggiunto: voient] aujourdhui. Son esprit philosophique et son intuition exceptionnelle lui permettent d’approfondir, dans le compliqué problème de la peinture, des choses oubliées depuis presque un siecle. Je comprends très bien qu’on ne comprenne pas».
Nel Dattiloscritto Evangelisti del 1963 c. questo passo iniziale è ulteriormente elaborato con l’eliminazione del personaggio di Isabella Far:
Erano circa le due del pomeriggio; il Signor Dudron, affondato in una comoda poltrona, faceva la siesta nel suo studio.
Così, come gli accadeva spesso quando non lavorava, i suoi pensieri andavano verso la pittura.
I pittori – pensava – oggi e anche già da parecchio tempo, fanno qualcosa che non è pittura, essi non dipingono, ma mettono semplicemente dei colori ad asciugare sulla tela.
Però una bella pittura non è mai del colore prosciugato, ma della bella materia tinta. Capisco benissimo che non mi si capisca.
Nota 1
La vicenda della visita al Louvre (inverno 1938-1939) e delle osservazioni di Isabella Far è narrata anche, con maggiori particolari, nelle Memorie della mia vita [1]:
Mi rimisi al lavoro nella camera d’albergo e ripresi le mie vecchie ricerche tecniche, sempre aiutato da Isabella di cui i consigli mi erano preziosi.
Un pomeriggio, al Museo del Louvre, ci trovammo davanti ad un ritratto di Velasquez e si parlava della misteriosa materia dei maestri antichi che non ha nulla a che vedere con la materia brutta e sorda della pittura moderna. Isabella, che aveva lungamente guardato il quadro del grande spagnolo, mi disse ad un tratto: “Questo non è colore prosciugato, ma bella materia tinta”. Le parole di Isabella furono per me una rivelazione; capii subito che un nuovo orizzonte mi si apriva innanzi con nuove ed enormi possibilità.
Nel tempo stesso avevo conosciuto un restauratore specializzato nel restauro dei quadri fiamminghi e che lavorava al museo del Louvre; egli si chiamava Vandenberg. Nel suo studio egli mi mostrò una specie di unguento biancastro, una specie di pomata con cui diluiva i colori, ma mettendo molto unguento e poco colore. Ripensai alle parole di Isabella: “Non è colore prosciugato, ma bella materia tinta”. Il restauratore Vandenberg però non volle darmi il ricetta del suo unguento che egli chiamava: le beurre des peintres. […]. Cominciai per conto mio a fare emulsioni, […]. Era il primo passo verso la conquista della grande pittura, era la liberazione dalle catene della brutta e noiosa e crostosa pittura moderna [2].
De Chirico, in genere, descrive la sua vita artistica come scandita da una serie di ‘rivelazioni’ che di volta in volta modificano in modo radicale il suo percorso di ricerca. La prima e la più famosa di queste rivelazioni è quella avvenuta nell’ottobre del 1909 in piazza Santa Croce a Firenze e narrata in un famoso passo dei “manoscritti parigini” [3]. Questa rivelazione ispirò la nascita del primo quadro metafisico: L’enigma di un pomeriggio d’autunno e fu il primo segno di un concetto dell’arte e della pittura completamente nuovi, anche da un punto di vista iconografico.
Nelle Memorie della mia vita de Chirico non parla di questa prima rivelazione, la più importante, ma solo delle due successive: quella del luglio del 1919 al “Museo di Villa Borghese” a Roma davanti a un quadro di Tiziano, che segnò un “doppio ritorno”: al mestiere, all’antico e a un’iconografia figurativa più tradizionale; e quella dell’inverno 1938-1939 al Louvre, che condusse il pittore a un’altra radicale conversione e all’inizio del cosiddetto “periodo barocco”.
Il doppio “ritorno all’ordine” del 1919 culmina nel quadro Il ritorno del figliol prodigo realizzato a Milano alla fine di quell’anno.
La terza delle ‘grandi rivelazioni’, descritta all’inizio del romanzo, si può invece esemplificare nel quadro Autoritratto in costume del Seicento, 1945-1946
Bisogna tuttavia chiedersi se questa terza rivelazione sia da prendere completamente sul serio, e soprattutto se la prenda sul serio l’autore stesso dal momento che la condisce con diversi elementi e particolari ironici, sia nelle Memorie sia in altri scritti.
Nelle Memorie della mia vita, racconta come ad Atene, appena dodicenne, cominciasse a dipingere con i colori industriali aggiungendo una buona dose di “olio d’oliva” preso dalla cucina. Naturalmente il primo quadro dipinto in questo modo, una natura morta di limoni, non asciugava mai. Provvidenziale giunse allora il consiglio del vecchio pittore Konstantinos Volonakis (Creta 1837 – Pireo 1907), suo maestro di disegno al Politecnico:
Il pittore Bolonakis [4], al quale domandai come si fa la pittura ad olio, mi disse anche lui che si fa con l’olio. “Ma con quale olio” domandai, inquieto, pensando ai miei limoni che non asciugavano mai. “Con olio di lino” aggiunse Bolonakis. Fu per me una rivelazione: l’olio di lino fu una rivelazione come tanti anni dopo, in un pomeriggio d’inverno, al museo del Louvre, davanti ad un dipinto di Velasquez, furono per me una rivelazione le parole di Isabella Far: “La vera pittura non è colore prosciugato, ma bella materia colorata [5].
La stessa ironia affiora nel frequente uso deI linguaggio di cucina, che è spesso affine a quello dei pittori ma che de Chirico impiega spesso con ostentata esagerazione, come nel racconto, proprio in Dudron, dell’amico pittore alle prese con la fabbricazione della salsa mayonnaise che, proprio come l’emulsione, non sta mai insieme e si disfa di continuo.
Una precisa collocazione cronologica della “rivelazione del Louvre”, sempre che la si consideri un fatto realmente accaduto e non piuttosto come una finzione letteraria, non è possibile. Da Milano de Chirico partì con Isa verso la metà di ottobre 1938. Passando per Torino e visitando gli amici Gazzera, la coppia arrivò a Parigi verso la fine del mese. A gennaio il pittore è di nuovo a Milano per qualche giorno, poi torna a Parigi e a metà febbraio si trasferisce nuovamente a Milano per qualche mese. E’ quindi chiaro che questo episodio è databile tra novembre 1938 e gennaio 1939. Il Louvre conserva diversi quadri di Velasquez ma non è possibile identificare l’opera a cui de Chirico si riferisce.
[1] Giorgio de Chirico, Memorie della mia vita, Astrolabio, Roma 1945, p. 237
[2] Giorgio de Chirico, Memorie della mia vita, Rizzoli, Milano 1962, pp.165-166.
[3] Giorgio de Chirico, Il Meccanismo del pensiero. Critica polemica autobiografia.1911-1943, a cura di Maurizio Fagiolo, Einaudi, Torino 1985, pp. 31-32
[4] De Chirico scrive secondo la grafia greca in cui la B corrisponde foneticamente a V
[5] Giorgio de Chirico, Memorie…1962, cit., pp. 42-43.
Le Paradis perdu
Il y a belle lurette (trois quarts de siècle au moins) qu’on a perdu ce précieux fil d’Ariane. Est-ce à moi et à Isabella Far qu’incomberait la tâche de le retrouver et de l’offrir aux peintres, nos contemporains, qui bâillent sur leurs palettes à se décrocher la mâchoire et cherchent à sauver la face par une attitude prétentieuse et sceptique mais qui, au fond, n’est autre chose que du mécontentement et de l’agacement? Du reste, il y a de quoi être mécontent et agacé, continuait à se dire Monsieur Dudron; les peintres, aujourd’hui, ne s’amusent plus en travaillant. Ils sentent tous, d’une façon très confuse, c’est vrai, mais ils le sentent quand même, que cela ne va pas, que cela ne va plus. Quelques-uns, par désespoir, piquent une tête dans le marécage de la soi-disant invention ou de la soi-disant spiritualité; ils cherchent à se distraire, et aussi à distraire les autres, en parlant d’inspiration, de lyrisme, d’étonnement, d’étrangeté, de mystère, ah oui, surtout de mystère, mais ce ne sont là, hélas, que de petites échappatoires qui, si elles peuvent, du côté pratique, donner parfois quelques résultats, n’apaisent leur conscience que jusqu’à un certain point, et, au fond, très au fond d’eux-mêmes, ils soupirent tous avec une nostalgie infinie vers cette terre lointaine, vers ce Paradis Perdu de la belle, de la très belle peinture.»
Il Paradiso perduto
E’ un bel pezzo (tre quarti di secolo almeno) che si è perso questo prezioso filo d’Arianna. Ed è forse a me e a Isabella Far che incomberà il compito di ritrovarlo e di offrirlo ai pittori, nostri contemporanei, che sbadigliano sulle loro tavolozze in maniera da slogarsi le mascelle e cercano di salvare le apparenze con un’attitudine pretenziosa e scettica, ma che in fondo altro non è che scontento e irritazione. Del resto, c’è di che essere malcontenti ed irritati – continuava a dirsi il Signor Dudron – i pittori, oggi, non si divertono più lavorando. Tutti sentono, in maniera molto confusa, è vero, ma comunque sentono che così non va, che così non va più. Alcuni, per disperazione, si tuffano nel pantano della così detta invenzione o della sedicente spiritualità; essi cercano di distrarsi, nonché di distrarre gli altri, parlando di ispirazione, di lirismo, di stupore, di stranezza, di mistero, ah sì, anzitutto di mistero, ma tutto ciò, aimè, non sono che piccole scappatoie, che, se possono dal lato pratico dare alle volte qualche risultato, non tranquillizzano la loro coscienza che fino ad un certo punto; e in fondo, molto in fondo, a loro stessi, tutti agognano con infinita nostalgia quella terra lontana, quel Paradiso Perduto, della bella, della bellissima pittura».
Varianti
Una gita a Lecco, (“Aria d’Italia” 1940):
Come quasi sempre meditavo sui problemi complicati della tecnica pittorica, problemi di cui oggi i maneggiatori del pennello ed i critici d’arte non vogliono porprio sentir parlare; i primi perché hanno poca voglia di lavorare e sanno che il lavoro è fatica; quindi cercano di pigliarlo dal lato più comodo. Poi anche perché essendo afflitti da una incomensurabile mancanza di temperamento preferiscono, in fatto di pittura, limitarsi alla cosidetta “spiritualita”. I secondi perché nella pittura altro non cercano che pretesti per fare, senza troppi sforzi, bella mostra di se (non bisogna dimenticare che molti critici d’arte non sono in fondo che degli scrittori mancati); sanno che parlare di tecnica pittorica è come parlare di sanscritto; non è dato a tutti; sanno che una si tratta di cose dificilissime a capire ed a conoscere e poi sanno specialmente che è un terreno ingrato per chi ad altro non mira che a fare l’intelligente ed il furbacchione con poca spesa. I pittori, pensavo, oggi non dipingono; essi mettono dei colori ad asciugare sopra una tela; la pittura di oggi non è pittura ma colore secco; la bella pittura non è mai colore secco ma polpa tinta; il vero pittore gioisce e si diverte dipingendo; i pittori d’oggi dipingendo soffrono, smaniano e sbadigiano dalla noia, poiché sentono che non va. Per salvare la faccia hanno inventato il cosidetto tormento; ma c’è poco da vantarsene; se c’è tormento non c’è ingegno e se non c’è ingegno la meglio è piantarla.
Une Aventure de M. Dudron, 1945:
Il y a belle lurette (deux ou trois quarts de siècle) qu’on a perdu ce précieux fil d’Ariane. Est-ce moi à qui incomberait la tâche de le retrouver et de l’offrir aux peintres, mes contemporains, qui bâillent sur leurs palettes à se décrocher la mâchoire et cherchent à sauver la face par une attitude prétentieuse et sceptique mais qui, au fond, n’est autre chose que du mécontentement et de l’agacement? Du reste, il y a de quoi être mécontent et agacé, continuait à se dire M. Dudron, les peintres, aujourd’hui, ne s’amusent plus en travaillant. Ils sentent tous, d’une façon très confuse, c’est vrai, mais ils se sentent quand même, que cela ne va pas, que cela ne va plus. Quelques-uns, par désespoir, piquent une tête dans le marécage de la soi-disant invention ou de la soi-disant spiritualité; ils cherchent à se distraire, et aussi à distraire les autres, en parlant d’inspiration, de lyrisme, d’étonnement, d’étrangeté, de mystère, ah oui, surtout de mystère, mais ce ne sont là, hélas, que de petites échappatoires qui, si elles peuvent, du côté pratique, donner quelques résultats, n’apaisent leur conscience que jusqu’à un certain point, et au fond, très au fond d’eux-mêmes, ils soupirent tous avec une nostalgie infinie vers cette terre lointaine, vers ce Paradis perdu, de la belle, de la très belle peinture».
Prima di essere integrato nella versione definitiva in francese, il passo del 1945 fu leggermente modificato da de Chirico nella sua Copia Personale (1953 c.) con l’aggiunta di qualche nota scritta direttamente sul testo stampato e su un piccolo foglietto incollato:
Il y a belle lurette (deux ou trois quarts de siècle) qu’on a perdu ce précieux fil d’Ariane. Est-ce [aggiunto: à] moi à qui [aggiunto: et à Isabella Far] qu’incomberait la tâche de le retrouver et de l’offrir aux peintres, mes[aggiunto: nos] contemporains, qui bâillent sur leurs palettes à se décrocher la mâchoire et cherchent à sauver la face par une attitude prétentieuse et sceptique mais qui, au fond, n’est autre chose que du mécontentement et de l’agacement? Du reste, il y a de quoi être mécontent et agacé, continuait à se dire M. Dudron, les peintres, aujourd’hui, ne s’amusent plus en travaillant. Ils sentent tous, d’une façon très confuse, c’est vrai, mais ils se sentent quand même, que cela ne va pas, que cela ne va plus. Quelques-uns, par désespoir, piquent une tête dans le marécage de la soi-disant invention ou de la soi-disant spiritualité; ils cherchent à se distraire, et aussi à distraire les autres, en parlant d’inspiration, de lyrisme, d’étonnement, d’étrangeté, de mystère, ah oui, surtout de mystère, mais ce ne sont là, hélas, que de petites échappatoires qui, si elles peuvent, du côté pratique, donner quelques résultats, n’apaisent leur conscience que jusqu’à un certain point, et au fond, très au fond d’eux-mêmes, ils soupirent tous avec une nostalgie infinie vers cette terre lointaine, vers ce Paradis perdu, de la belle, de la très belle peinture».
Dattiloscritto Evangelisti, 1963 c.
E’ già da quel dì, circa 80 anni, che si è perso questo prezioso filo d’Arianna.
E’ dunque a me che incombe il difficile compito di ritrovarlo e di offrirlo ai pittori, miei contemporanei, che sbadigliano sulle loro tavolozze in modo che rischiano di sganciarsi la mascella e cercano di salvare la faccia con un atteggiamento pretenzioso e scettico, ma che, in fondo, non è altro che scontentezza e irritazione.
Del resto, vi è di che essere scontenti ed indispettiti, – continuava a pensare il Signor Dudron, – poichè i pittori oggi non si divertono lavorando. Essi sentono, in modo confuso, è vero, ma però sentono che tutto questo non va, che non va più per niente.
Alcuni di essi, dalla disperazione, si buttano a capofitto nel pantano della cosìddetta invenzione, o della cosiddetta spiritualità. Essi cercano di distrarsi, ed anche di distrarre gli altri, parlando di ispirazione, di lirismo, di stupore, di stranezza, di mistero, ah sì, sopratutto di mistero! Ma tutto questo non è altro che piccole scappatoie le quali se possono dal lato pratico dare qualche risultato non tranquillizzano la coscienza dei pittori moderni che fino ad un certo punto e in fondo, molto in fondo di loro stessi, essi sospirano con infinita nostalgia, verso quella terra lontana, verso quel paradiso perduto della bella e della vera pittura.
L’invitation à diner
Il en était là avec ses pensées lorsqu’un formidable vrombissement de moteur le fit se lever et s’approcher de la fenêtre. II vit en bas, devant la porte de sa maison, s’arrêter une magnifique voiture automobile, longue et luisante comme un torpilleur terrestre. Une dame, de ses connaissances, en descendit. C’était une femme à la chevelure ardente, habillée avec une élégance sévère et sportive en même temps, qui faisait d’elle quelque chose entre une Athéna et une Walkyrie moderne mais plus Walkyrie qu’Athéna. Elle entra en coup de vent chez Monsieur Dudron et, sans s’asseoir ni même lui dire bonjour, commença à lui parler très vite et d’une voix haletante, tout en marchant dans la pièce : « Préparez-vous, maître, lui dit-elle, pour ce soir à sept heures précises; je passerai vous chercher avec la voiture. » Puis elle continua, en arpentant l’atelier, à lui expliquer qu’elle avait pris rendez-vous avec quelques amis dans une auberge qui se trouvait à environ cinquante kilomètres de là, sur une colline, au-dessus d’une petite ville située au bord d’un lac.
L’invito a cena
Era a quel punto con i suoi pensieri quando un formidabile rombo di motore lo fece alzare ed avvicinarsi alla finestra. Egli vide fermarsi giù, davanti alla porta della sua casa, una magnifica automobile lunga e lucente come una torpediniera terrestre [1]. Una signora di sua conoscenza ne discese. Era una donna dalla capigliatura ardente, vestita con eleganza severa e sportiva nello stesso tempo, che ne faceva qualcosa fra un’Atena ed una Walchiria moderna, ma più Walchiria che Atena. Ella entrò come una ventata dal Signor Dudron, e senza né sedersi né dirgli buongiorno, cominciò a parlargli velocemente con voce trafelata, andando su e giù per la stanza: «Si prepari, Maestro, – gli disse – per questa sera alle sette precise; passerò a prenderLa con la macchina». Poi ella continuò a spiegargli, percorrendo lo studio a grandi passi, che aveva preso appuntamento con degli amici in una locanda che si trovava a circa cinquanta chilometri da lì, su una collina presso una cittadina sita sulla riva di un lago.
Varianti
Una gita a Lecco, (“Aria d’Italia” 1940):
Questi ed altri pensieri stavo ruminando nella poltrona a sdraio del mio studio milanese, quando una signora elegantissima e dalle chiome ardenti giunse sotto la mia finestra guidando con tranquilla sicurezza una splendida automobile color caffelatte chiaro, tutta lucente come una torpediniera. «Preparatevi, maestro, per questa sera alle diecianove, – mi disse -; verrò a prendervi con la macchina per andare a Lecco, anzi sopra Lecco; mi sono messa d’accordo con alcuni amici per trovarci lassù stasera e mangiarvi le lumache».
Une Aventure de M. Dudron, 1945:
Il en était là avec ses pensées lorsqu’un formidable vrombissement de moteur le fit se lever et s’approcher de la fenêtre. II vit en bas, devant la porte de sa maison, s’arrêter une magnifique voiture automobile, longue et luisante comme un torpilleur terrestre. Une dame, de ses connaissances, en descendit. C’était une femme à la chevelure ardente, habillée avec une élégance sévère et sportive en même temps, qui faisait d’elle quelque chose entre une Athéna et une Walkyrie moderne mais plus Walkyrie qu’Athéna. Elle entra en coup de vent chez Monsieur Dudron et, sans s’asseoir ni même lui dire bonjour, commença à lui parler très vite et d’une voix haletante, tout en marchant dans la pièce: « Préparez-vous, maître, lui dit-elle, pour ce soir à sept heures précises; je passerai vous chercher avec la voiture. » Puis elle continua, en arpentant l’atelier, à lui expliquer qu’elle avait pris rendez-vous avec quelques amis dans une auberge qui se trouvait à environ cinquante kilomètres de là, sur une colline au-dessus d’une petite ville située au bord d’un lac.
Dattiloscritto Evangelisti,1963 c.:
Era arrivato a quel punto con i suoi pensieri quando un formidabile rombo di motore lo fece alzare dalla sua poltrona ed approssimarsi alla finestra. Vide giù, davanti al suo portone, fermarsi una stupenda macchina, lunga e lucente come una torpediniera terrestre. Una signora, che egli conosceva, uscì dalla macchina. Era una donna dalla capigliatura ardente, vestita con una eleganza sportiva e severa che faceva di lei qualcosa tra una Atena ed una Walchiria moderna, ma più Walchiria che Atena.
Ella entrò impetuosamente nello studio del Signor Dudron, e senza sedersi e senza nemmeno salutarlo cominciò a parlargli presto e con voce concitata, sempre camminando nello studio.
«Preparatevi, Maestro, disse, per questa sera alle sette precise. Passerò a prendervi con la mia macchina.» Poi continuò, sempre andando su e giù per lo studio, a spiegargli che aveva preso appuntamento con alcuni amici in una osteria che stava a circa 50 KM sopra, [aggiunto: su] una collina, al disopra di una piccola città sita in riva ad un lago.
Nota 1
L’unica indicazione concreta che de Chirico ci dà per identificare il modello della macchina è che assomigliava a una torpediniera terrestre. Si può pensare alla famosa Jamais Contente, (vedi foto in alto) la storica macchina con motore elettrico, simile a un siluro, che nell’aprile 1899 superava i cento chilometri l’ora, o meglio (foto in basso) a una delle tante vetture sportive che tra le due guerre avevano il nome di Torpedo, forse più adatta a un racconto ambientato nel 1939.
L’excursion: Les escargots
Là, près de cette auberge, une connaissance à elle, un industriel très riche qui s’était spécialisé dans la fabrication des douilles pour fusils de chasse, avait créé un élevage d’escargots. Il s’agissait donc d’aller là-bas pour dîner dans l’auberge, y manger des escargots, et puis visiter les fameux champs d’élevage. « Il paraît, maître, disait-elle à Monsieur Dudron qui l’écoutait d’un air bienveillant et résigné, il paraît qu’il y a là des terrains immenses pleins de choux et de salades de toutes sortes. Il y a aussi des pêchers, beaucoup de pêchers, car les escargots sont très friands de pêches. Dans les champs et sous les pêchers, par dizaines, par centaines de milliers, par dizaines et centaines de millions, vivent les escargots. Lorsqu’une pêche trop mûre tombe de l’arbre, les escargots concentrent sur le fruit tombé leurs antennes oculaires, comme feraient les canons d’une escadre sur le fort de la côte ennemie. Lentement, mais sûrement, ils partent à l’assaut; ils se collent comme des ventouses sur la malheureuse pêche et, en quelques instants, il ne reste plus que le noyau aussi sec que s’il avait été exposé pendant une semaine au soleil, dans le désert. Alors, assouvis, les voraces mollusques s’en vont, encore plus lentement qu’ils n’étaient venus, en laissant derrière eux ce sillage que tout le monde connaît. Avant de manger les escargots, il faut les purger ; pour les purger on les laisse à jeun pendant un espace de temps variant de cinq à huit jours. » Toutes ces fortes descriptions n’étaient pas exactement ce qu’il fallait pour encourager Monsieur Dudron à manger des escargots, d’autant plus qu’il avait en horreur les mollusques en général et les escargots en particulier.
La gita: Le lumache
Là, in quella locanda, una sua conoscenza, un ricchissimo industriale specializzato nella fabbricazione di bossoli per cartuccie da fucili da caccia [1], aveva creato un allevamento di lumache. «Pare, Maestro, – disse al Signor Dudron che l’ascoltava con aria benevola e rassegnata, – pare che lì ci siano dei terreni immensi pieni di cavoli ed insalate di tutte le qualità. Ci sono pure degli alberi di pesco, molti alberi, perché le lumache sono assai ghiotte di pesche. Nei campi e sotto gli alberi di pesco, a diecine, a centinaia di migliaia, a diecine e centinaia di milioni, vivono le lumache. Quando una pesca troppo matura cade dall’albero, le lumache concentrano sul frutto caduto le loro antenne oculari come farebbero i cannoni di una squadra sul forte della costa nemica. Lentamente, ma sicuramente, esse partono all’assalto; si appiccicano come ventose alla disgraziata pesca, di cui in pochi istanti non resta che il nocciolo, secco come se fosse stato esposto al sole del deserto per una settimana. Allora, sazi, i voraci molluschi se ne vanno, ancora più lentamente di prima, lasciandosi dietro quella scia che tutti conoscono. Prima di mangiare le lumache bisogna purgarle; per purgarle si lasciano a digiuno per un tempo variante dai cinque agli otto giorni ». Tutte queste descrizioni a forti tinte non erano esattamente quel che ci voleva per incoraggiare il Signor Dudron a mangiare lumache, tanto più che aveva orrore dei molluschi in generale e delle lumache in particolare.
Varianti
Una gita a Lecco, (“Aria d’Italia” 1940):
Poi in fretta e senza sedersi mi spiegò che c’era un signore milanese, un’industriale, che in quel luogo aveva impiantato un grande allevamento di lumache; c’erano campi e campi pieni di cavoli e di insalate d’ogni sorta; dei grandi spazi pieni di peschi di cui il frutto serviva a nutrire e ingrassare quei voraci molluschi corazzati; in quei campi e sotto quelli alberi vivono vivevano le lumache a centinaia, a migliaia, a diecina a centinaia di migliaia, a milioni. Quando una pesca troppo matura cascava dal ramo veniva era subito avvistata dalle lumache che su essa convergevano i le loro antenne visive come cannoni di navi sul forte della costa nemica. Lentamente e sicuramente le lumache muovevano all’assalto, coprivano la pesca caduta, ed in pochi momenti del frutto altro non rimaneva che il nocciolo secco. Allora, ancora più lentamente di come erano venute, le lumache s’allontanavano lasciando dietro quello strascico che tutti sanno. Tutte queste frettolose ma forti descrizioni non erano proprio quello che ci voleva per invogliarmi a mangiare delle lumache.
Une Aventure de M. Dudron, 1945:
Là, près de cette auberge, une connaissance à elle, un industriel très riche qui s’était spécialisé dans la fabrication des douilles pour fusils de chasse, avait créé un élevage d’escargots. Il s’agissait donc d’aller là-bas pour dîner dans l’auberge, y manger les escargots, et puis visiter les fameux champs d’élevage. « Il paraît, Maître, disait-elle à M. Dudron qui l’écoutait d’un air bienveillant et résigné, il paraît qu’il y a là des terrains immenses pleins de choux et de salades de toutes sortes. Il y a aussi des pêchers, beaucoup de pêchers, car les escargots sont très friands de pêches. Dans les champs et sous les pêchers, par dizaines, par centaines de milliers, par dizaines et centaines de millions, vivent les escargots. Lorsqu’une pêche trop mûre tombe de l’arbre, les escargots concentrent sur le fruit tombé leurs antennes oculaires, comme feraient les canons d’une escadre sur le fort de la côte ennemie. Lentement, mais sûrement, ils partent à l’assaut; ils se collent comme des ventouses sur la malheureuse pêche et, en quelques instants, il ne reste plus que le noyau aussi sec que s’il avait été exposé pendant une semaine au soleil, dans le désert. Alors, assouvis, les voraces mollusques s’en vont, encore plus lentement qu’ils n’étaient venus, en laissant derrière eux ce sillage que tout le monde connaît. Avant de manger les escargots, il faut les purger; pour les purger on les laisse à jeun pendant un espace de temps variant de cinq à huit jours. » Toutes ces fortes descriptions n’étaient pas exactement ce qu’il fallait pour encourager Monsieur Dudron à manger des escargots, d’autant plus qu’il avait en horreur les mollusques en général et les escargots en particulier.
Dattiloscritto Evangelisti, 1963 c.:
Là, vicino a questa osteria, un signore di sua conoscenza, un ricchissimo industriale che si era specializzato nella fabbricazione dei bossoli per fucili da caccia, aveva creato un campo per l’allevamento di lumache. Si trattava quindi di andare lassù per cenare all’osteria, mangiarvi le lumache e poi visitare i famosi campi di allevamento. “Sembra, Maestro, diceva ella al Signor Dudron, che l’ascoltava con aria benevola e rassegnata, – sembra che vi sono, [aggiunto: siano] dei terreni immensi pieni di cavoli e di insalate di ogni genere. Vi sono anche dei peschi, perché le lumache sono ghiotte del frutto di questo albero. Nei campi e sotto i peschi a diecine a centinaia di migliaia, a diecine e centinaia di milioni, vivono le lumache. Quando una pesca troppo matura cade dall’albero, le lumache concentrano sul frutto caduto le loro antenne oculari così come farebbero, [aggiunto: si concentrano] i cannoni di una squadra sul forte della costa nemica.
Lentamente, ma con ostinata sicurezza, esse partono all’assalto; si attaccano come ventose sulla disgraziata pesca e in pochi istanti di quel bel frutto non resta che il nocciolo così secco come se fosse stato esposto durante una settimana al sole, in mezzo, al deserto. Allora, saziati, i voraci molluschi s’allontano ancora più lentamente di come erano venuti lasciando dietro loro quella scia che noi tutti conoscono.
Prima di mangiare le lumache bisogna purgarle; per purgarle bisogna lasciarle digiune per un periodo che va da 5 a 8 giorni. Tutte queste descrizioni non erano proprio quello che ci voleva per incoraggiare il signor Dudron a mangiare le lumache, tanto più che aveva un sacro orrore per i molluschi in genere e per le lumache in particolare.
Nota 1
Le indicazioni contenute nel testo rinviano chiaramente alla famiglia di industriali lecchesi Fiocchi, fabbricanti di munizioni e di cartucce dal 1866, e in particolare a Giulio Fiocchi (1893-1973), che dei vari fratelli che guidavano l’azienda era quello che aveva più relazioni nel mondo artistico e culturale. Giulio Fiocchi si distingueva tra i numerosi fratelli per alcune sue curiose eccentricità anche in campo imprenditoriale: aveva fondato imprese commerciali, tutte di scarso successo, per l’importazione delle banane nane dal Ghana e per il commercio della madreperla destinata alla fabbricazione dei bottoni (poi soppiantata dalla bachilite).Tra queste vi fu la creazione di un grande allevamento di lumache nei terreni collinari di famiglia situati a Belledo, tra la periferia di Lecco e il Resegone. Le lumache potevano, secondo Giulio Fiocchi, per le loro qualità nutrizionali costituire uno dei cibi privilegiati dell’avvenire. A tale scopo aveva anche sovvenzionato l’apertura di un ristorante ai margini della tenuta chiamato “Osteria del Merico o dell’Americo” (vedi Nota 1: La gita: Il viaggio continua) gestito da una famiglia locale il cui capostipite aveva soggiornato in America. Per istruire cuochi e cuoche e impostare un menù basato interamente sulla lumaca aveva importato dalla Francia uno chef specializzato nelle varie preparazioni di quei molluschi. Il ristorante esiste ancora oggi, a Belledo, all’angolo tra via Giulio Fiocchi e via Belledo. Stando ai racconti del figlio Giorgio, la coltivazione delle lumache ebbe una misera conclusione perchè i molluschi che sembravano particolarmente grossi e in salute dovevano quelle loro abnormi dimensioni a una particolare malattia che in breve tempo sterminò. Tra le amicizie in campo artistico e intellettuale di Giulio Fiocchi si ricordano soprattutto, oltre a Giò Ponti, il pittore Aldo Carpi, Felice Carena, Umberto Saba e Nora Baldi una bella e ricca signora triestina amica e ispiratrice di Saba e che, in quegli anni ebbe un legame molto stretto con Alberto Savinio. L’amicizia di Nora Baldi con Giulio Fiocchi, la sua intimità con Savinio e i suoi tratti fisici e caratteriali ci inducono a pensare che sia lei ad aver ispirato la figura della moderna Walkiria. (Ringraziamo Giorgio Fiocchi e Martina Fiocchi Rocca per le informazioni).
L’excursion: Dürer Il Duro
Il éprouvait une aversion innée pour toutes les matières flasques et dépourvues d’armature intérieure. C’était une des raisons pour lesquelles il n’aimait pas la peinture de ses contemporains. Pourtant il ne faudrait pas déduire de cela qu’il aimât les matières dures ; ainsi il n’éprouvait aucune sympathie pour certaines matières telles que la fonte et l’acier. En peinture aussi, il n’aimait pas les duretés et les raideurs ; il n’aimait ni les primitifs ni certains peintres comme Mantegna et Botticelli. Il faisait une exception pour Dürer. « Mais Dürer n’est pas dur, avait-il l’habitude de dire en souriant sous cape, bien que Vasari, dans ses Vies, l’appelle il Duro. » Pour Monsieur Dudron, une matière idéale devait être tendre et fluide, mais en même temps ferme et solide ; par conséquent, ses peintres préférés étaient Véronèse, le Tintoret, Vélasquez et Rubens. Monsieur Dudron aurait voulu raconter tout cela à la dame qui essayait de l’entraîner vers les champs d’élevage d’escargots mais, soit qu’il eût peur qu’elle ne comprît pas un mot à tout ce qu’il lui aurait dit et même qu’elle le crût sujet à des crises d’aliénation mentale, soit que son atavique galanterie lui interdît de contredire son interlocutrice, il feignit d’accepter avec enthousiasme l’idée d’aller le soir manger des escargots.
La gita: Dürer Il Duro
Egli sentiva un’avversione innata per tutte le cose flosce e sprovviste di sostegno interno. Era questa una delle ragioni per cui non amava la pittura dei suoi contemporanei. Però sarebbe sbagliato dedurre da questo che egli amasse le materie dure; anzi, non sentiva alcuna simpatia per certe materie come il ferro e l’acciaio. Anche nella pittura non amava le durezze e la rigidezza; non amava né i primitivi né certi pittori come Mantegna e Botticelli. Faceva un’eccezione per Dürer. «Ma Dürer non è duro, – aveva l’abitudine di dire sorridendo sotto i baffi, – anche se Vasari nelle sue “Vite” lo chiama il Duro». Per il Signor Dudron una materia ideale doveva essere tenera e fluida, ma nello stesso tempo ferma e solida; di conseguenza, i suoi pittori preferiti erano Veronese, il Tintoretto, Velázquez e Rubens. Il Signor Dudron avrebbe voluto raccontare tutto questo alla signora che tentava di invogliarlo verso i campi di allevamento delle lumache, ma, sia che egli temesse che ella non comprendesse una parola di quanto le avrebbe detto e lo credesse soggetto a crisi di alienazione mentale, sia ancora che la sua atavica galanteria gli interdicesse di contraddire la sua interlocutrice, egli finse di accettare con entusiasmo l’idea di andare la sera a mangiare le lumache.
Varianti
Una gita a Lecco, ( “Aria d’Italia” del 1940):
Ho sempre avuto un’avversione istintiva per le materie viscide e senz’armatura interna; per questo non mi va la pittura moderna d’oggi. Però non bisogna che si pensare dedurre da ciò che a me piacciano le durezze e le rigidezze; non nutro la minima simpatia per tutta la pittura dei primitivi ed anche per quella di Mantegna e di Botticelli; certe materie come il granito e l’acciaio non mi procurano nessun piacere. Per me la materia ideale è una materia morbida e flessibile ma nel tempo stesso solida e ferma; pertanto i miei pittori preferiti sono in Italia Tintoretto e Veronese, fuori d’Italia Velasquez e Rubens. Cionondimeno, dispiacendomi di andare contro l’entusiasmo della mia gentile visitatrice e per quel senso di cavalleria che ho sempre avuto, approvai con calore il progetto di andare la sera a mangiare le lumache sopra Lecco.
(Segue un pezzo di tredici righe con la descrizione della partenza della visitatrice che è stato eliminato da tutti i testi successivi, vedi Appendice 3)
Une Aventure de M. Dudron, 1945:
Il éprouvait une aversion innée pour toutes les matières flasques et dépourvues d’armature intérieure. C’était une des raisons pour lesquelles il n’aimait pas la peinture de ses contemporains. Pourtant il ne faudrait pas déduire de cela qu’il aimât les matières dures; ainsi, il n’éprouvait aucune sympathie pour certaines matières telles que la fonte et l’acier. En peinture aussi, il n’aimait pas les duretés et les raideurs; il n’aimait ni les primitifs, ni certains peintres comme Mantegna et Botticelli. Il faisait une exception pour Dürer. «Mais Dürer n’est pas dur, avait-il l’habitude de dire en souriant sous cape, bien que Vasari, dans ses Vies, l’appelle il Duro.» Pour M. Dudron, une matière idéale devait être tendre et fluide, mais en même temps ferme et solide; par conséquent, ses peintres préférés étaient Véronèse, le Tintoret, Vélasquez et Rubens. M. Dudron aurait voulu raconter tout cela à la dame qui essayait de l’entraîner vers les champs d’élevage d’escargots mais, soit qu’il eût peur qu’elle ne comprît pas un mot à tout ce qu’il lui aurait dit et même qu’elle le crût sujet à des crises d’aliénation mentale, soit que son atavique galanterie lui interdît de contredire son interlocutrice, il feignit d’accepter avec enthousiasme l’idée d’aller le soir manger des escargots.
Dattiloscritto Evangelisti, 1963 c.:
Egli provava una innata avversione per tutte le materie viscide e privo di scheletro interno. E questo e il motivo per cui non amava la pittura dei suoi contemporanei. Ma da questo non bisognerebbe dedurre che egli amasse le materie dure; così non sentiva nessuna simpatia per certe materie come la ghisa e l’acciaio. In pittura pure non amava le durezze e gli aspetti rigidi, per tanto non amava i primitivi e certi pittori come Mantegna e Botticelli. Faceva un eccezione per Dürer. «Ma Dürer non è duro»- aveva l’abitudine di dire il Signor Dudron, – sorridendo sotto i baffi che non aveva -, benchè Vasari nelle sue “Vite” si ostini a chiamarlo il Duro. Per il Signor Dudron una materia ideale doveva essere tenera e fluida, ma, nello stesso tempo, ferma e solida; per tanto i suoi pittori preferiti erano Veronese, il Tintoretto, Velázquez e Rubens. Il Signor Dudron avrebbe voluto parlare di tutto questo alla signora dalla capigliatura ardente che voleva trascinarlo verso i campi di allevamento delle, [aggiunto: di] lumache ma, sia perchè temesse che essa non avrebbe capito un acca a [aggiunto: di] tutto quello che le avrebbe detto e che perfino avesse sospettato che soffrisse di crisi di alienazione mentale, sia perchè la sua atavica galanteria gli vietasse di contraddire una Signora, finse di accettare con entusiasmo l’invito di andare quella sera a mangiare le lumache.
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