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PRESENTAZIONE DEGLI ULTIMI VOLUMI DELL’ARCHIVIO

COMUNICATO STAMPA

RISOLTO DOPO OLTRE SESSANT’ANNI IL PIU’ COMPLICATO MISTERO
DI GIORGIO DE CHIRICO

Giovedì 9 maggio
h. 18
presso l’ARCHIVIO DELL’ARTE METAFISICA
Piazza Mirabello 5, 20121 Milano

Barbara Cinelli (Università Roma 3) e Maria Grazia Messina (Università di Firenze)
presentano al pubblico la trilogia su Giorgio de Chirico negli anni Trenta
pubblicata dall’Archivio dell’Arte Metafisica – Scalpendi editore, Milano.
(saranno presenti gli autori)

Giorgio de Chirico, Piazza d’Italia 1913 [1933]
Il più clamoroso sequestro del dopoguerra
Verità processuale e verità storica
a cura di Paolo Baldacci e Gerd Roos.
(pp.114)

Nell’aprile del 1947 Giorgio de Chirico fece sequestrare come falso un dipinto “Piazza d’Italia” datato 1913, appena venduto dalla Galleria del Milione, e appartenente in precedenza alle collezioni Della Ragione, Valdameri e De Angeli Frua. L’episodio, e il processo che ne seguì tra il 1947 e il 1956 (sentenza definitiva della Cassazione) ebbero una risonanza clamorosa in tutto il mondo per la notorietà delle persone coinvolte. L’autore stesso dedica a questa vicenda, nelle Memorie del 1962, uno spazio pari alla metà di quello riservato all’intero periodo 1911-1915 che fu artisticamente il più importante della sua vita.
In prima istanza il Tribunale di Roma sentenziò che de Chirico aveva mentito e che il quadro era autentico, ma in seconda istanza tutto fu capovolto e la sentenza che dichiarava falso il quadro fu confermata dalla Cassazione nel 1956.
La vittoria in questo processo fu sbandierata dall’artista come una conferma della veridicità di un teorema da lui formulato nel 1945, nella prima edizione delle Memorie della mia vita, secondo il quale egli sarebbe stato vittima di un complotto ordito dagli ambienti surrealisti e modernisti fin da prima della guerra per squalificare la sua pittura recente e invadere il mercato con opere false.
Lo studio di Baldacci e Roos, facendone cadere l’ultimo punto d’appoggio, dimostra che questa teoria è del tutto priva di fondamento e, toccando anche altri famosi scandali del secondo dopoguerra, tra cui quello della Biennale di Venezia del 1948, inizia a delineare una precisa storia della falsificazione di Giorgio de Chirico.
La lettura guiderà alla scoperta della verità storica, molto diversa dalla verità processuale che ha segnato il destino di questa “Piazza d’Italia” anche in tempi recenti: si scoprirà infatti che, pur portando la data 1913, il dipinto era stato realizzato a Parigi nell’estate del 1933, esposto nella mostra retrospettiva di Zurigo in settembre, e subito dopo venduto da de Chirico al famoso collezionista Alberto Della Ragione.
L’andamento quasi da romanzo giallo della narrazione, ricca di documenti inediti e di sconosciuti dettagli biografici, mentre da un lato svela l’aspetto meno conosciuto dell’artista ‘falsario di se stesso’, che per sfruttare il crescente successo internazionale della pittura metafisica decise di ingannare collezionisti e mercanti producendo una gran quantità di opere retrodatate, dall’altro non impedisce di giungere a conclusioni storicamente importanti contribuendo al recupero di un’opera autentica al catalogo dell’artista, ma soprattutto riformulando su basi oggettive e documentate la storia dei quindici anni tra il 1933 e il 1948, cioè del momento cruciale in cui si formò il groviglio, complicatissimo ma in realtà non inestricabile, che ha costituito fino a oggi il “caso de Chirico”.

“Londra d’estate è quanto mai metafisica”
Giorgio de Chirico e la galleria Alex. Reid & Lefevre (1937-1939)
di Flavia Matitti e Gerd Roos
(pp. 97)

Giorgio de Chirico e Germain Seligman
manovre sul mercato americano tra 1937 e 1938
di Gerd Roos
(pp. 112)

Gli altri due volumi, di Flavia Matitti e Gerd Roos, gettano luce sul retroscena della crisi di de Chirico negli anni Trenta, doppiamente intrecciata con la recessione economica mondiale e con i suoi dilemmi umani e artistici: una profonda insicurezza sull’orientamento estetico da seguire e l’emergere prepotente di complessi e inconsce paure fino a quel momento tenute a freno.
L’esame dei carteggi con Germain Seligmann e con la Galleria Lefevre di Londra indica che le cause del fallimento mercantile di de Chirico in quegli anni furono l’inaffidabilità caratteriale e un’avidità che gli impediva di vedere oltre l’interesse immediato, mentre il motivo del fallimento artistico fu soprattutto l’incapacità di scegliere tra la sua vena visionaria più intima e sincera, che si rivelava soprattutto nella scrittura e nei lavori per il Teatro, e la vana rincorsa del sogno inattuale di una “Grande Pittura”, alla quale per altro non lo predisponevano nemmeno le sue doti più naturali.

I tre libri si presentano come tasselli di un mosaico di cui si intuisce perfettamente il disegno finale, e si possono integrare con la lettura, sul sito www.archivioartemetafisica.org, della prima edizione critica con note e varianti del metaforico autoritratto letterario scritto dall’artista in diverse fasi tra il 1933 e il 1941, col titolo di Monsieur Dudron (Il Signor Dudron).
Mentre la lettura de Il Signor Dudron fornisce il background per una corretta interpretazione psicologica, quella dei tre piccoli volumi illustra la parabola discendente che, per errori di strategia e per incontrollabili fragilità caratteriali, Giorgio de Chirico imboccò fin dal tempo della sua prima retrospettiva al Kunsthaus di Zurigo nel settembre del 1933, e che raggiunse il culmine col soggiorno americano del 1936 e 1937, durante il quale egli si giocò ogni possibilità di affermazione nel ricco mercato statunitense. In quello stesso periodo de Chirico dovette assistere al trionfo del Surrealismo oltre Oceano e subire lo smacco, obiettivamente ingiusto, di vedersi criticamente apprezzato solo come precursore di quel movimento.