Appendice 9.
Dattiloscritto Evangelisti, 1963 c.
Ma il signor Dudron non scrisse più, sapeva che laggiù si ergeva il sacro colle dell’Acropoli. Egli si ricordò che quando era fanciullo suo padre, nei pomeriggi di domenica, lo portava a visitare i resti gloriosi di una era altamente civile; si ricordò pure che in quel tempo si poteva accedere sull’Acropoli liberamente ed in qualsiasi ora del giorno e della notte. Ma ora i tempo erano cambiati. L’Acropoli era stata circondata da cancelli e trasformata in un vero e proprio museo. Si pagava un biglietto d’ingresso per entravi e, secondo le stagioni, si chiudevano i cancelli [aggiunto: a ore fisse] e nessuno poteva entrarci più; proprio come avviene nei musei. Invece il sogno del signor Dudron, da vari anni ormai, era di poter passare una notte intera sull’Acropoli, una notte di luna, in piena estate. Egli quindi elaborò il, [aggiunto: un] piano di, [aggiunto: per] entrare, prima della chiusura, come un normale turista, e poi di nascondervisi e rimanere nascosto dopo l’ora della chiusura, in modo da poter passare solo l’intera notte sul sacro colle.
Anzitutto pensò che, per fare questo, avrebbe dovuto mimetizzarsi, cioè crearsi un personaggio in cui predominasse il bianco, per poter più facilmente confondersi con il colore delle colonne e dei ruderi che sorgevano ovunque sull’Acropoli. Guardò il suo orologio e vide che c’erano ancora 4 [aggiunto: quattro] ore di tempo fino al momento in cui si chiudevano i cancelli dell’Acropoli. Egli pagò la sua consumazione e con passo spedito si diresse verso il centro della città.
Recatosi in un grande bazar vi acquistò un paio di pantaloni bianchi di tela, un paio di calzini bianchi e un paio di scarpe bianche di panno; poi recatosi in una profumeria acquistò una forte quantità di talco. Ebbe pure la prudenza di acquistare un paio di bianchi di guanti [aggiunto: bianchi] di filo ed un berretto di tela bianca. Un’ora prima che si chiudessero i cancelli, comprato il biglietto di ingresso, egli, in mezzo ad un gruppo di turisti, varcava i cancelli e saliva sull’Acropoli. Là cominciò ad errare tra i templi ed i resti di colonne, guardando ogni tanto il suo orologio ed aspettando impazientemente l’ora della chiusura. Quando vide che mancava circa un quarto d’ora cercò un luogo ove poter nascondersi; visto un ammasso di marmi bianchi e di resti di colonne spezzate vi si rincattucciò, poi, tolto dalla sua tasca il pacchetto del talco si imbiancò accuratamente tutta la faccia e mise i guanti bianchi di filo.
Aveva appena finito questo lavoro che sentì la voce nasale di un guardiano che, in lontananza, gridava ad intervalli regolari: “Si chiude!”
Il signor Dudron cercò di rendersi ancora più invisibile e quasi tratteneva il respiro e poi sentì, [aggiunto: udì] il rumore dei cancelli che si chiudevano. Però, per prudenza, non si mosse ancora e fece bene di aspettare poichè, poco dopo, udì il passo strascicato di un guardiano che veniva verso il luogo ove egli era nascosto; il guardiano si fermò, proprio presso il signor Dudron. Questi non respirava più e in un baleno pensò a certi insetti, come le scolopendre, volgarmente dette millepiedi, le quali, quando corrono sopra un muro e passano su una macchia di umidità ove credono che il loro colore si confonde con quella macchia, si fermano credendo, [aggiunto: pensando] che così esse sono invisibili.
Pensò anche alla [aggiunto: che la] quaglia, quando viene a trovarsi sopra un terreno di cui il colore è più o meno simile al colore delle sue piume, resta immobile poichè, come la scolopendra, pensa di essere invisibile. Infatti avviene a volte che un cacciatore passi proprio vicinissimo ad una quaglia posata sul terreno e non la veda. Questi pensieri erano dettati al signor Dudron dal suo subcosciente per rassicurarlo ma egli lo stesso fremeva d’ansia. Il guardiano, fermo davanti al nascondiglio del signor Dudron, sbadigliò lungamente, poi tossì e sputò per terra, indi tratta dalla tasca dei suoi calzoni una pipa con e la borza di del tabacco, la empì accuratamente [aggiunto: la pipa] l’accese e, dopo aver sputato una seconda volta, si avviò lentamente verso l’uscita.
Il signor Dudron cominciò a respirare più liberamente ma non si calmò del tutto se [aggiunto: non] quando sentì il rumore del cancello che il guardiano, dopo essere uscito, aveva chiuso dietro di se. Il signor Dudron rimase ancora immobile per qualche minuto pensando che la prudenza non è mai troppa poi, finalmente, si decise ad uscire ed a stiracchiarsi le gambe piene di formicolii. Intanto la notte era quasi completamente scesa. A levante una luna magnifica, una luna piena, una luna regale, saliva lentamente nel cielo che era tutto di un colore tenerissimo, un po’ grigio ed un po’ viola. A ponente si scorgevano ancora le ultime luci del sole tramontato.
Il signor Dudron sentiva una gioia immensa invadere tutto il suo essere, ma, ad un tratto, gli parve come se sulla sua testa fosse stato ritirato un enorme velario. Guardò in alto e vide che la volta celeste si era mutata come in un soffitto molto basso, che si estendeva intorno [aggiunto: lontano] ai quatto punti cardinali. A questo soffitto, attaccate come giganteschi calchi di in gesso, delle le facce degli Dei dei miti ellenici, stavano volti degli abitatori dell’Olimpo, [aggiunto: volte in giù e guardavano il signor Dudron]. Stavano così basse e così vicine che [aggiunto: ed] il signor Dudron ebbe l’impressione che rizzandosi sulla punta dei piedi avrebbe potuto toccarle con un dito. Si vedeva Giove, con lo sguardo leggermente strabico e la bocca circondata dai baffi e la barba fatta a boccoli. C’era Minerva con l’elmo e gli occhi adamantini, c’era Mercurio il dio dei ladri e dei misteri, il dio che conduce i sogni nel sonno dei mortali. Il signor Dudron aveva sempre nutrito una particolare per simpatia per Mercurio. C’era Marte, il dio delle pugne e delle guerre e dei combattimenti che però aveva mutato il suo sguardo [aggiunto: duro e] severo in uno sguardo di simpatia, velata di leggera ironia, per guardare il signor Dudron. C’erano anche dei semidei, c’erano i Dioscuri, domatori di cavalli, c’era Ercole pensoso e triste e stanco per le molte fatiche, c’era Nettuno, c’era Plutone e tutte quelle maschere gigantesche guardavano il signor Dudron, sorridendo ineffabilmente. Il signor Dudron, invaso da un’estasi da lui [aggiunto: che] fino allora [agggiunto: non aveva] sconosciuta [sic!], cominciò ad avere paura. Aveva paura di tutta quella sovrumana felicità, poichè, oltre alle maschere degli dei, sentiva che intorno a lui stava tutto quello che sino allora [aggiunto:] gli era stato a lui favorevole, tutto quello che egli aveva amato, ed anche il Genio gentile della sua ora suprema, stava a lui vicino.
Il signor Dudron ebbe paura, ebbe paura di tutta quella, [aggiunto: tanta] felicità; cercò di guardare in basso, verso la città, verso gli uomini, verso la vita, [aggiunto: verso] quella vita che egli conosceva, con le sue pene ed i suoi affanni, cercò di guardare in basso per assicurarsi, per tranquillizzarsi ed allontanasi da tutta quella inconcepibile felicità ma ad un tratto si accorse che l’Acropoli, tagliato ogni ormeggio, divelta ogni ancora, simile ad una nave di sogno, vogava, solenne, nell’infinito…..
L’alba spuntava, il signor Dudron svegliatosi si sfregò gli occhi e capì che aveva sognato; stava [aggiunto: sempre] seduto sempre sull’Acropoli, presso un frammento di colonna spezzata. Egli pensò che, tra poco, quando il giorno sarebbe sorto completamente, i guardiani avrebbero cominciato a circolare e poi i cancelli si sarebbero aperti ed i turisti avrebbero [aggiunto: sarebbero] cominciato a salire saliti sul sacro colle. Egli cercò il rifugio ove, la sera prima, si era nascosto; lo trovò, vi si nascose [aggiunto: di nuovo], cominciò a pulirsi la faccia togliendo il talco con il quale, la sera prima, se l’era imbiancata, poi si tolse anche i guanti di filo bianco ed aspettò. Poco tempo dopo sentì che i guardiani cominciavano a circolare; aspettò ancora, immobile nella sua tana di ruderi, poi, quando si accorse che numerosi turisti circolavano già tra i templi ed i santuari, uscì e, confondendosi con loro, lasciò l’Acropoli e tornò in città.